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Pascoli, la bicicletta e il libro - ESAURITO

Copertina del libro
€ 18,00
Versione stampata

La lettura dei testi da parte di Giorgio Bàrberi Squarotti, uno dei più grandi critici letterari del Novecento (e non solo italiano), non è mai limitata all’autore studiato (nel presente caso Pascoli, del quale si celebra quest’anno il centenario della morte), bensì involve non solo i tempi e le problematiche generali dell’epoca a cui il poeta appartiene (il che sarebbe naturale e necessario), ma i suoi contemporanei più significativi, poiché nell’arte, come in altre branche della complessità storica, nessuno è una monade, ma un anello singolare, se vogliamo, d’una catena che tiene legati fra loro – pur nelle diversità – i protagonisti dei campi dell’azione e del pensiero. Non solo: Bàrberi Squarotti, a guisa di una strada sopraelevata, scavalca i secoli, fino a trovare quelle simiglianze o antitesi che rimandano un autore a un altro, come un groviglio di ponti su un fiume immenso e inarrestabile. Fra i vari capitoli (geniali ed altissimi: mi piacerebbe disquisire su “La bicicletta e la vittoria sul tempo e sullo spazio”) di cui si compone questo libro, c’è “La tempesta senza quiete: Pascoli, Leopardi, Dante, Montale”, ove la raffigurazione del tragico della natura si scompone nei quattro poeti (perché ne escludo Gozzano, a cui Bàrberi Squarotti fa solo cenno per antitesi) con un profondo scavo nelle diversità della visione della tempesta (simbolo di morte – Pascoli; allusione alla tragica condizione umana – Leopardi; accidenti naturali a fini escatologici – Dante; allegoria dello sconvolgimento del mondo – Montale): è tipico del metodo dell’esegesi di Bàrberi Squarotti, che ne fa un Maestro mai influenzato da mode e da estetica alcuna. Una lettura similmente basata sul paragone non solo estetico fra due punte centrali dell’Otto-Novecento (Pascoli e d’Annunzio), bensì sottilmente penetrante i motivi politici e le nascoste polemiche fra i cantori dell’Italia al momento tragico della morte del Savoia, è “L’uccisione di Re Umberto: d’Annunzio e Pascoli”, dove il secondo scrive un’ode e il primo un inno, negli stessi giorni: d’Annunzio è volto all’avvenire e vede nella fine del re buono l’apertura a un’Italia più sana e giovane rappresentata – e auspicata – dal nuovo re; Pascoli, nel suo rimare ateo, pur servendosi di figurazioni e citazioni cristiane, sembra aver scelto l’occasione dell’evento enorme dell’assassinio da parte del Bresci per affrontare la contraddittorietà della violenza nella storia, fissata nel termine clamoroso del Male come potenza assoluta. I capitoli sono molti, ma non ho spazio per esaminarli tutti. Dico solo che la critica di Bàrberi Squarotti è a 360 gradi: ci scopre orizzonti molto più vasti e insospettabili che non la pedante ristretta analisi estetico-politica di troppi inquinatori dell’esegesi letteraria dell’ultimo secolo. (Aldo Onorati)

F.to 14x21, Brossura, pp. 191