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Calendario di Roma Arcaica 2013

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Rispetto alle precedenti edizioni, questo Calendario di Roma si presenta ampliato sia per quanto concerne le festività romane sia per l’inserimento delle princi­pali celebrazioni del Cristianesimo e di altre religioni (Islam, Israele, India, Buddhismo, Cina, Giappone), per dare al lettore la possibilità di un confronto diretto fra diverse concezioni sacrali del tempo. altPer quanto concerne il Calendario di Roma, le feste possono essere distinte in due categorie principali: feste legate alla celebrazione degli Dèi, quasi sempre di epoca protourbana e monarchica, e ricorrenze di fondazione (dies natalis) dei templi. A seconda dell’età storica a cui tali eventi possono essere fatti risalire li abbiamo suddivisi in tre classi, che abbiamo segnalato con icone specifiche: dal periodo preurbano e monarchico fino alle guerre annibaliche[1]), dal pe­riodo tardo repubblicano, dal 200 a.C. al tempo di Giulio Cesare dal periodo imperiale con particolare riguardo per Giulio Cesare ed Ottaviano). Le date delle celebrazioni e quelle delle fondazioni templari sono state da noi riportate nello schema del Calendario arcaico anche se appartenenti ad un periodo in cui era invalso l’uso del calendario a date fisse, perché quasi sempre vi è una sottile connessione tra gli eventi di uno stesso mese anche se inseriti a distanza di secoli, quasi si volesse mantenere uno specifico “sapore” sapienziale al mese, mentre quelle del periodo imperiale sono state collocate nel giorno del Calenda­rio giuliano e saranno pertanto evidenziate con la scritta GIUL. Altre particolari icone sono state adottate per identificare il giorno in cui ricorrono le feste cristiane e quelle in uso presso nazioni mediterranee ed orientali: per il Cristianesimo, per l’Islam, per Israele, per il Buddismo (sia Mahayana che Theravada), per l’India, per la Cina, per il Giappone. Nella metà superiore di ogni foglio viene riportata una breve descrizione del contenuto delle celebrazioni romane e non-romane che cadono in ciascuna quindi­cina del mese, rimandando per l’esame più completo delle singole feste, per la storia della formazione dei diversi calendari ed in particolare per l’esame del metasignificato del ciclo dei mesi nel Calendario di Roma al saggio Il Tempo di Roma (di prossima pubblicazione per le ed. Simmetria di Roma), il quale com­prenderà anche la trattazione dei calendari, ormai non più in uso, di Egitto e Grecia e dei popoli celtici e mesoamericani, oltre che di quelli sopra menzionati.

Il Calendario Romano ha attraversato una serie di trasformazioni a partire dall’età arcaica fino al periodo imperiale, per cui è necessario presentare alcune con­siderazioni per comprendere lo sviluppo del calcolo del tempo a Roma. Nella fase arcaica protourbana si ha traccia di un calendario basato sul ciclo lunare di 27 giorni a cui sommare i due giorni di totale invisibilità della Luna (forse considerati extracalendariali - Carandini cit. pag. 428), e ogni mese era suddiviso probabilmente in tre settimane di nove giorni ciascuna (nundinae); il numero dei mesi era probabilmente di dieci e la loro durata era stabilita in modo empirico mediante l’osservazione delle fasi lunari, per cui i mesi non avevano durata fissa e i tre momenti principali di ciascun mese, le Kalendae, le Nonae e le Eidus, cadevano in giorni variabili.
Nella prima età regia, corrispondente ai regni di Romolo e di Numa, il calendario venne fissato in un anno di dieci mesi costituiti alternativamente di 29 e 30 giorni (con la sola eccezione di Febbraio che ne aveva 28) per un totale di 294 giorni e la posizione nel mese delle Kalendae, delle Nonae e delle Eidus divenne fissa, senza più rispettare le fasi lunari. Nella successiva seconda età regia e per tutto il periodo della Repubblica l’anno venne portato da dieci a dodici mesi lu­nari per totali 355 giorni. La corrispondenza tra anno lunare di 355 giorni ed anno solare di 365 veniva ottenuta con l’aggiunta di un tredicesimo mese, chiamato Interkalaris o Mercedonius, ogni due o tre anni in modo che potesse sempre coincidere l’Equinozio di Primavera con la lunazione corrispondente al mese di Marzo. Poiché il sistema era troppo aleatorio e il divario tra anno civile e solare era giunto a 85 giorni, fu necessaria la correzione operata da Giulio Cesare nel 45 a.C. (Calendario giuliano di 365 giorni) che, salvo alcune revisioni dovute ad Ottaviano riguardanti il computo dell’anno bisestile, rimase valida fino al XVI secolo dell’Era Volgare; nel Calendario giuliano vennero rinominati due mesi che erano distinti nel calendario arcaico con un numerale, Quinctiles (o Quintiles) e Sextiles, rispettivamente come Luglio in onore di Giulio Cesare e Agosto in onore di Ottaviano Augusto.
Nel 1582 venne operata da Papa Gregorio XIII un’ulteriore rettifica che consentiva di tornare a far coincidere il calendario con il ciclo solare eliminando dieci giorni dal mese di ottobre di quell’anno (Calendario gregoriano).
Nella fase arcaica il mese era computato come lo spazio temporale compreso tra una Luna Nuova (LN) e la successiva: il Pontefice Minore, l’ultimo eletto nel consiglio dei Pontefici, i depositari dell’arte di ordinare il tempo, vegliava nelle notti dopo il novilunio per identificare il momento della comparsa del primo fal­cetto lunare e, quando l’aveva riconosciuto, ne dava comunicazione al Rex (Macrobio Sat I, 12, 9; Sabbatucci pag. 79; Carandini pagg. 415 - 429).

Il Rex faceva riunire il popolo in Comizio dal kalator (= araldo) per annunciare il primo giorno del mese, cioè le Kalendae (KAL), e stabiliva il giorno del suc­cessivo Comizio alle Nonae (NON), il giorno della comparsa del Primo Quarto lunare (PQ), così dette perché, secondo Macrobio (Sat I, 15, 13),“ certuni pen­sano che le none traggano il loro nome di qui, cioè come 'inizio di nuova' osservanza [perché alle Nonae venivano indette le feste del mese]; altri, perché da tale giorno alle idi si contano sempre nove giorni” [le Idi erano fissate all’ottavo giorno dalle Nonae, il nono secondo il computo romano che comprendeva an­che il giorno da cui si iniziava il conteggio]; le Idi (Eidus, EID), cioè il giorno della Luna Piena (LP), erano così chiamate dalla radice *vid, vedere, in quanto “la luce non finisce con il tramonto del sole, malo splendore del giorno si prolunga anche durante la notte con la luce della luna” (Macrobio Sat I, 15, 15); all’ultimo quarto di Luna (UQ) non veniva assegnato alcun particolare valore nell’ambito calendariale.
L’uso del termine Nonae, nell’accezione data da Macrobio, si riferisce ad una fase già di sistematizzazione artificiale dello schema calendariale, in quanto in realtà il periodo di tempo che intercorre tra Kalendae (che cadono mediamente due giorni dopo la LN) e Nonae è in realtà di cinque – sei giorni e non di otto.
A causa del suo stretto legame con i moti lunari, il Calendario Romano arcaico non poteva in alcun modo essere suddiviso in mesi di un numero prefissato di giorni, così come i tre momenti principali del mese non potevano cadere in giorni prestabiliti (come sarà nelle successive forme di Calendario), ma variavano a seconda dell’effettiva fase lunare di quel particolare mese.

Per questo motivo, allo scopo di rispettare il senso del Calendario Romano arcaico, nella ricostruzione di esso ci siamo attenuti non ad uno schema prefissato bensì al reale compiersi degli eventi astronomici valutati nel seguente modo: - il giorno delle Kalendae è quello la cui alba segue la notte in cui la prima falce lunare si è resa effettivamente visibile, e ciò accade circa trentasei ore dopo il momento della scomparsa della Luna, calcolando il tempo necessario perché essa si sposti di almeno 20° dall’asse Terra-Sole per rendersi visibile; è altresì ne­cessario calcolare la reale visibilità della prima falce di Luna rispetto all’alba e tramonto del Sole (in estate, quando il Sole sorge dopo le cinque e trenta e tra­monta intorno alle diciannove e trenta, la comparsa della prima falce ha tempi più ristretti per essere effettivamente vista).
- le Eidus comprendono per definizione il giorno più luminoso, che potrà essere anche precedente il giorno effettivo di Luna Piena, poiché, se la Luna Piena giunge al suo massimo prima del mezzogiorno, la notte di quel giorno avrebbe in realtà una minore “luminosità” rispetto al giorno precedente, in quanto la Luna andrebbe a decrescere.

Poiché il mese Intercalare (che introduciamo ogni secondo o terzo anno in base al nostro computo basato su queste particolari regole, applicate dalla prima pub­blicazione del Calendario di Roma nel 1991) viene a cadere in questo anno XXDCCLXVI a.U.c. - 2013 E.V. (anche se per il calendario gregoriano l’anno bise­stile è stato il 2012), esso è stato aggiunto nella presente edizione. Per comodità del lettore abbiamo segnato le ore delle fasi lunari e degli altri eventi astronomici tenendo conto del periodo dell’ora legale, che in Italia inizia dall’ultima domenica del mese di Marzo fino all’ultima del mese di Ottobre; chi adopera il calendario per motivi differenti, deve sottrarre un’ora per effettuare in modo corretto i riti del periodo.
Per la determinazione dei dati astronomici (movimenti di Luna e Sole, Equinozi e Solstizi, eclissi) ci siamo avvalsi del software Eclipse, reperibile sul sito www.marcomenichelli.it

BIBLIOGRAFIA PER IL CALENDARIO ROMANO
CARANDINI A. La nascita di Roma – Dèi, Lari, Eroi e uomini all’alba di una civiltà, Torino 1997 DONATI N., STEFANETTI P. Dies Natalis, i Calendari romani e gli anniversari dei culti, Roma 2006 GALIANO P. L’armonia dell’anno – La sapienza dell’anno nel Calendario di Roma arcaica, Roma 2007 GALIANO P. Vesta e il fuoco di Roma, Roma 2011 GALIANO P. VIGNA M. Il Tempo di Roma, Roma 2012 (di prossima pubblicazione) GIANNELLI G. Il sacerdozio delle Vestali romane, Firenze 1913 LANCIANI R. L’Atrio di Vesta - Notizie degli scavi del mese di dicembre 1883, Roma 1884 OVIDIO Fasti (trad. Bernini), Bologna 1988 SABBATUCCI D. La religione di Roma antica, Milano 1988 VACCAI G. Le feste di Roma antica, Roma 1986 (ristampa anastatica) VIGNA M. I cicli naturali – “Vivere” i fenomeni celesti, Roma 2010

La Bibliografia dei Calendari delle altre nazioni sarà riportata per esteso nel saggio Il Tempo di Roma (di prossima pubblicazione per le Edizioni “Simmetria” di Roma).

[1] Abbiamo basato tale scelta sull’osservazione fatta da Vigna in Romana pietas pag. 101 (Roma 2012): le guerre annibaliche decimarono gravemente le gentes romane e poiché esse erano detentrici di un sapere tradizionale e di riti specifici legati alla gens (si pensi al rito sacrificale dell’Ara Massima di Ercole detenuto dalle famiglie dei Potizi e dei Pinari) è ragionevole pensare che molti riti e conoscenze arcaiche siano andati perduti per la totale scomparsa o le gravi perdite della gens cui appartenevano.