Trionfo di Cesare di Andrea Mantegna. Vol 4
- Anno: 2009
- Autore/i: Alessandro Luzio e Roberto Paribeni
- Catalogo: Scienze e Lettere
- Argomento: Arte
- Collana: Rariora
- ISBN: 978-88-88620-64-0
- ISSN:
Ristampa anastatica dell'originale del 1940 pubblicato dalla Reale Accademia d'Italia (Pubblicazioni Accademia d'Italia).
In 8°, brossura, con sovracc.+ bandelle, 77 pp., 40 tavv. b/n.
«Trionfo di Cesare» di ANDREA MANTEGNA
L’opera, dipinta a tempera tra il 1480 e il 1492, lunga ventisette
metri, si compone di nove grandi tele (altre due, che dovevano
completare il ciclo, non furono mai eseguite).
Il Vasari dice, erroneamente, che il dipinto fu eseguito per Ludovico
III ma, dal momento che il marchese era morto nel 1476, il vero
commissionario fu, probabilmente, il suo successore, il marchese
Federico e i destinatari finali, dopo la morte di costui nel 1484, i
marchesi Gian Francesco e Isabella.
Sicuramente lo spirito classico che impregnava la corte mantovana e
la tradizione legata al sommo poeta Virgilio, nato nella romana
Mantua, nonché l’ammirazione e l'amore per la classicità del
Mantegna, umanista oltreché pittore, spiegano la scelta del
soggetto. Così scrisse Ugo Ojetti nel discorso celebrativo del quinto
centenario della morte del pittore, letto nel Palazzo Ducale di
Mantova il 1 ottobre 1931 e stampato a Roma in dicembre dello
stesso anno: «Là finalmente rivive tutto il mondo caro all’umanista.
Rivive in quella processione sacra e militare, solenne e popolare,
dai costumi alle architetture, dalle armi alle insegne, dagli animali
ai trofei, dalle trombe alle faci, dalle statue ai candelabri, dai
sacerdoti agli efebi, dalle donne ai bambini, tutt’un mondo, meglio,
tutt’un popolo, forte, belle e immortale che procede folto e sicuro in
avanti, e i pargoli reggono le palme del trionfo con la forza con cui i
guerrieri impugnano l’armi, e le donne alte e lisce dalle chiome
fiorite incedono, le mani sul grembo, solenni come i pontefici, e sul
chiaro cielo vedi profilarsi le rame del pacifico olivo ma anche le
picche, le lance, le asce, le tube squillanti che segnano il passo a quel
popolo ordinato come un esercito, schietto e gagliardo come un
corteggio di dei. Non è soltanto il trionfo di Cesare e del suo scettro
d’avorio; è il cammino della latinità». I quadri, destinati alla
decorazione d’un cortile esterno (così risulta da una lettera del
Vescovo Ludovico Gonzaga) e usati nel 1501 durante uno spettacolo
teatrale, furono sistemati, dopo la morte del Mantenga, avvenuta
nel 1506, nel cortile della casa del pittore e collocati tra i pilastri del
porticato. Verso i primi del '600 ritornarono nel Palazzo Ducale di
Mantova. Le tele, già logorate dalle ripetute esposizioni all'aperto,
dopo lunghe trattative protrattesi dal 1627 al 1629, furono cedute
dai Gonzaga a Carlo I d’Inghilterra. Sicuramente il lungo viaggio di
trasferimento apportò gravissimi danni ai dipinti, danni aggravati
dalla prolungata permanenza in non adatti imballaggi. Le tele
furono sistemate nel Palazzo Reale di Hampton Court, Londra. Un
malaugurato tentativo di restauro eseguito dal Laguerre all'inizio
del ‘700, provocò il seppellimento delle tempere originali sotto
mani d'olio e di colla. Nonostante successivi tentativi di ripristino, da
parte del Fry nel 1919 e del North negli anni 1931-34, le pitture
sono ancora in precario stato di conservazione.
Laurentino García y García
Mantova il 1 ottobre 1931 e stampato a Roma in dicembre dello
stesso anno: «Là finalmente rivive tutto il mondo caro all’umanista.
Rivive in quella processione sacra e militare, solenne e popolare,
dai costumi alle architetture, dalle armi alle insegne, dagli animali
ai trofei, dalle trombe alle faci, dalle statue ai candelabri, dai
sacerdoti agli efebi, dalle donne ai bambini, tutt’un mondo, meglio,
tutt’un popolo, forte, belle e immortale che procede folto e sicuro in
avanti, e i pargoli reggono le palme del trionfo con la forza con cui i
guerrieri impugnano l’armi, e le donne alte e lisce dalle chiome
fiorite incedono, le mani sul grembo, solenni come i pontefici, e sul
chiaro cielo vedi profilarsi le rame del pacifico olivo ma anche le
picche, le lance, le asce, le tube squillanti che segnano il passo a quel
popolo ordinato come un esercito, schietto e gagliardo come un
corteggio di dei. Non è soltanto il trionfo di Cesare e del suo scettro
d’avorio; è il cammino della latinità». I quadri, destinati alla
decorazione d’un cortile esterno (così risulta da una lettera del
Vescovo Ludovico Gonzaga) e usati nel 1501 durante uno spettacolo
teatrale, furono sistemati, dopo la morte del Mantenga, avvenuta
nel 1506, nel cortile della casa del pittore e collocati tra i pilastri del
porticato. Verso i primi del '600 ritornarono nel Palazzo Ducale di
Mantova. Le tele, già logorate dalle ripetute esposizioni all'aperto,
dopo lunghe trattative protrattesi dal 1627 al 1629, furono cedute
dai Gonzaga a Carlo I d’Inghilterra. Sicuramente il lungo viaggio di
trasferimento apportò gravissimi danni ai dipinti, danni aggravati
dalla prolungata permanenza in non adatti imballaggi. Le tele
furono sistemate nel Palazzo Reale di Hampton Court, Londra. Un
malaugurato tentativo di restauro eseguito dal Laguerre all'inizio
del ‘700, provocò il seppellimento delle tempere originali sotto
mani d'olio e di colla. Nonostante successivi tentativi di ripristino, da
parte del Fry nel 1919 e del North negli anni 1931-34, le pitture
sono ancora in precario stato di conservazione.
ANDREA MANTEGNA, nato probabilmente a Isola di Carturo, frazione
di Piazzola sul Brenta presso Padova, nel 1431, morì il 13 settembre
1506 a Mantova. È sepolto in una cappella della maestosa chiesa di
Sant'Andrea, opera di Leon Battista Alberti, dove un busto bronzeo,
probabilmente modellato dallo stesso pittore, lo ritrae nella sua consapevole
maturità, la fronte aggrottata, il volto torturato e sdegnoso, la
bocca tirata, ma pervaso tutto di ostinata volontà. Come spiegare questa
smorfia di amara fierezza? La corte di Mantova, dove lavorò per
tanti anni, era per lui rifugio e prigione, destino comune a tanti altri
maestri rinascimentali. Onorato, sì, con molte lodi e continue commissioni
ma anche gabbato con promesse disattese. Consapevole della
propria valentia, consumato dalla fiamma divina dell’arte, rattristato
dalle penurie della quotidianità, il suo ritratto ci tramanda un misto di
grandezza e delusione. Nei suoi dipinti ci colpisce la maestosa solidità
geometrica e l'esaltazione della classicità dalla quale amava raffigurare
architetture sculture e raffinati ornamenti. Dopo il capolavoro della
«Camera degli Sposi», eseguito per i marchesi Ludovico III Gonzaga e
Barbara di Brandeburgo, sarà il loro successore, il marchese Federico a
commissionare al Mantegna le tele del «Trionfo di Cesare». Nel 1484 a
Federico subentrò il marchese Gian Francesco che aveva accanto
l'incantevole marchesa Isabella. In quegli anni il Mantegna, chiamato
dal Papa, operò anche a Roma, ma le sue opere in Vaticano sono andate
tutte distrutte. Con quanta sincerità e consapevolezza il nostro autore
volle immortalare, in una delle sue ultime pitture, l’erculeo e sanguinante
S. Sebastiano, rimasto alla sua morte presso la sua bottega e ora
nella Ca’ d’Oro a Venezia, il motto: Nihil nisi divinum stabile est.
Coetera fumus (Solo quel ch’è divino dura, il resto è fumo).
La bellissima edizione di ALESSANDRO LUZIO e ROBERTO PARIBENI Il
Trionfo di Cesare di Andrea Mantegna fu pubblicata dalla Reale
Accademia d’Italia nel 1940, con grande lusso di formato legatura e
carta pesante, e venne messa in vendita all’esorbitante prezzo di Lire
800. La gravità del momento storico, con l’incombere dei disastri della
guerra, costrinsero gli editori ad una tiratura molto ridotta; inoltre,
dopo i successivi sbarchi delle truppe alleate, durante la ritirata verso
nord del governo e dei gerarchi, prima verso Firenze e poi verso Torino,
il ministro Giovanni Gentile volle che anche parte del patrimonio della
Reale Accademia d’Italia, come ad esempio le maestose uniformi degli
accademici e una parte dei più lussuosi volumi e strumenti, fossero caricati
su un treno che però venne bombardato nel tragitto. L’opera Il
Trionfo di Cesare, già rara e preziosa inizialmente, divenne subito esaurita
e introvabile.
A distanza di tanti anni vogliamo renderla di nuovo disponibile, in versione
più economica e meno ingombrante, al godimento non solo degli
studiosi e degli specialisti ma anche del grande pubblico stimatore
dell’arte e della buona editoria.