Gli Ksour della regione di Tataouine
- Anno: 2008
- Autore/i: Marinella Arena e Paola Raffa
- Catalogo:
- Argomento: Urbanistica
- ISBN: 978-88-7890-857-4
- ISSN:
Rilegatura a spirale, 200 pp., con ill., carte e tavole ripiegate a colori.
L'Università Mediterranea di Reggio Calabria è ormai una scuola di tutto rispetto dove si incrociano saperi compositi che danno vita a iniziative internazionali davvero encomiabili sotto la "guida" illuminata di un gran "signore della Cultura" come Massimo Giovannini, ora rettore.
A sud della Calabria c'è quella parte di Maghreb dove le culture, pur perfettamente identificabili e orgogliosamente identitarie, si confondono una nell'altra, si attraversano, si scavalcano come onde in quel grande mare di storia che è il Sahara. Per usare il titolo di un importante Seminario di studi svoltosi a Douz nel 2002, possiamo ben dire che il Sahara è il profondo "lien entre les Peuples et les Cultures", legame che in alcune aree ben note trova la sua forma architettonica e sociale negli "ksour", secondo la tesi di uno dei più grandi studiosi tunisini, Abderrahman Ayoub. Agli ksour, due giovani studiose, Marinella Arena e Paola Raffa, hanno dedicato uno splendido libro di analisi, foto e rappresentazione in particolare degli ksour del Sud-Est tunisino, cioè della regione di Tataouine, quella che già da qualche millennio è una sorta di limes nei confronti dei berberi autoctoni ("Ksour della regione di Tataouine" - presentazione di Massimo Giovannini, Edizioni Kappa, Roma 2007) .
I Romani lo avevano ben compreso e, infatti, hanno tracciato qui una linea ideale e materiale fatta di castra e fortificazioni d'ogni genere, avendo ben chiaro che difficilmente l'avrebbero avuta vinta con i nomadi berberi, Signori del deserto. Anche gli Arabi sopravvenuti dopo alcuni secoli poco poterono contro questi popoli che, peraltro, a giusta ragione ancora oggi sono lì, con la loro lingua, le loro tradizioni, gelosi della loro identità, pur essendo perfettamente integrati nei Paesi in cui vivono.
Gli ksour sono la risposta architettonica dei berberi agli arabi, inizialmente pastori: sono enormi granai collettivi scavati nella roccia e garantiscono, dunque, la sopravvivenza della comunità in ogni situazione: pace, guerra, attacchi e carestie. Sono il signum dell'autosufficienza.
In questo senso possiamo dire che non sono solo un intelligente fenomeno architettonico, ma anche il segno forte di un sistema di vita e di relazioni. Gli ksour marcano il territorio in maniera niente affatto casuale giacchè tra loro conservano distanze date dipendenti dalla presenza di pozzi d'acqua e dalla possibilità di essere raggiunti in un tempo ragionevole a piedi o in groppa ai dromedari. In questo paesaggio segnato dall'orizzontalità e dal ‘mistero' si ergono pochi segni verticali, cioè solo quelli dei minareti e delle moschee.
Il mistero è dato dal fatto che nulla appare della vita che si svolge intorno agli ksour. Come scrive Paola Raffa: " Negli anfratti naturali sono stati creati terrazzamenti per trattenere le acque meteoriche e rendere fertile un terreno sterile; oleifici ipogei si celano alla vista ... a valle le piccole architetture dei marabout segnano in modo inequivocabile i limiti territoriali, mentre i pozzi dell'acqua definiscono zone di non belligeranza".
Non tutti gli ksour, che pure ripetono spazialmente un preciso modulo architettonico, sono uguali e Fakher Kharrat fa una chiara distinzione tra ksour di montagna o kalaa, ksour di collina e ksour di pianura e poi ancora ksour lineari, a corte centrale e ksour a corridoio. Naturalmente nei periodi di maggiore stabilità politica si edificano ksour individuali per le singole famiglie e non più ksour-granai collettivi per tutto il villaggio.
Se lo schema generale, dunque, si ispira ad un'idea architettonica comune, la morfologia costruttiva si adegua alle necessità del tempo, del luogo e dello spazio, oltrechè dei materiali (per lo più argilla e calcare) reperibili in loco.
Questo segna profondamente il rapporto fra l'uomo e l'oikos, l'ambiente con il quale il popolo berbero non è mai in rapporto ostile o di dominio, tipico della cultura occidentale giudaico-greco-cristiana, ma sempre in rapporto di alleanza e di complicità.
Ecco, dunque, che un libro che riguarda forme di vita apparentemente lontane, diventa una lezione per l'oggi, come nota Marinella Arena:"Nella regione di Tataouine il rapporto fra artificiale, in questo caso architettura, e naturale, inteso qui come luogo, è particolarmente stretto".
Un bellissimo libro e una grande lezione di etica del Paesaggio e dell'oikos.
(fonte: Gli Ksour di Tataouine: signum dell'autosufficienza -
Jolanda Capriglione )