Garibaldi e i suoi tempi. Immagini dei protagonisti
- Anno: 2008
- Autore/i: A cura di Carmelo Calci
- Catalogo: Scienze e Lettere
- Argomento: Storia
- ISBN: 978-88-88620-51-0
- ISSN:
F.to 21x30, 288 pp., carta pregiata, circa 500 foto d'epoca, alcune inedite
Indice
Note non rituali per una mostra garibaldina
Introduzione -
Domenico Scacchi
Prefazione -
Annita Garibaldi Jallet
Cenni sulla documentazione del periodo della Seconda
restaurazione (1814-1870) conservata nell’Archivio Storico
Comunale di Tivoli -
Mario Marino
I due passaggi di Garibaldi a Tivoli nel 1849.
Lo scontro di Mentana nel 1867 -
Amedeo Ciotti
Storia di un panorama perduto e di un clamoroso equivoco.
Garibaldi il 3 giugno a Porta San Pancrazio -
Alessandro Cartocci
Entusiasmo garibaldino e irresolutezze politiche -
Alcibiade Boratto
La fotografia nel Risorgimento -
Michael G. Jacob
Garibaldi a cavallo nella foto di Alessandro Duroni
eseguita a Cremona nel 1862 -
Carmelo Calci e Leandro Mais
Il Risorgimento nelle medaglie militari -
Massimiliano Munzi
Catalogo -
Carmelo Calci
Introduzione
L’occasione delle celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe
Garibaldi ha rappresentato un nuovo potente fattore di consolidamento del
mito dell’Eroe dei due Mondi. Era del resto inevitabile, visto che la figura del
grande Nizzardo ha finito per segnare non solo l’epopea risorgimentale, ma è
andata ben aldilà intrecciandosi strettamente con le successive vicende politiche
della nazione italiana anche durante tutto il XX secolo. Un mito robusto
di cui sono testimonianza i numerosi nuovi studi apparsi recentemente, così
come i convegni e le mostre che hanno coinvolto non solo il mondo accademico
in Italia e nel Mondo, ma anche le istituzioni a tutti i livelli, fino alle
piccole comunità, segno di un sentimento di affetto e riconoscenza profondi
per l’uomo del popolo che impegnò tutto se stesso nelle battaglie per l’indipendenza
e l’unità degli italiani.
Garibaldi uomo del popolo e per il popolo. È forse proprio questa la motivazione
più profonda della sua immensa popolarità che, certo, non fu «inventata
», come sembrerebbe suggerirci il titolo sicuramente poco felice della
recente fatica della studiosa anglosassone Lucy Riall1. Certamente Garibaldi
mostrò una grande contemporaneità nel sapiente uso della propaganda resa
possibile dall’enorme sviluppo di strumenti come la stampa e la fotografia. E
se sicuramente i media allora disponibili non lesinarono sforzi per esaltarne
le gesta e tributarne una fama pressoché mondiale, tale fama non era certo
usurpata, perché sostanziata dai fatti e fortemente ancorata ai grandi ideali di
cui il nostro Eroe nel corso della sua vita si fece interprete.
D’altra parte il tema del mito di Garibaldi ha avuto un grande sviluppo
nel dibattito storiografico anche se la riflessione si è maggiormente soffermata
sull’uomo e le sue gesta, mentre appare sempre più pressante l’esigenza di sviluppare
indagini più mirate per comprendere il senso che il movimento che ha
accompagnato e sostenuto le imprese dell’Eroe dei due Mondi, il garibaldinismo,
per intenderci, ha avuto nella storia italiana dopo la scomparsa del suo
Duce. Se Garibaldi poteva gestire con una certa tranquillità anche gli aspetti
più evidentemente contraddittori del suo pensiero, alla sua morte si sviluppava
immediatamente una vivace lotta tesa a rivendicare l’eredità politica dell’Eroe,
con il risultato di un obiettivo indebolimento del movimento garibaldino. Le
varie componenti finirono per scontrarsi sui temi del parlamentarismo, della
repubblica, della massoneria, per limitarci ai più rilevanti, e gli echi di quelle
differenziazioni accompagneranno i momenti più salienti della vicenda politica
italiana praticamente sino ai nostri giorni.
Non è certamente questa la sede per avventurarsi in interpretazioni
definitive sul ruolo del garibaldinismo nella nostra storia patria, ma
è sembrato opportuno accennare al tema perché la realizzazione della
mostra e la pubblicazione di questo catalogo possono rappresentare un
prezioso contributo in quella direzione. Molte sono, infatti, le novità di
un evento che, anche nel suo essere momento celebrativo, non intende
sottrarsi all’obbligo di offrire spunti preziosi, sia pure nella forma di sole
immagini, indicativi di nuovi percorsi e strumenti di ricerca. E non mi
riferisco, ovviamente, al fatto in sé della fotografia come fonte di ricerca,
perché non si tratta certo di una novità. Ma, qui, un primo punto di forza
è rappresentato dal fatto che le fotografie che compongono la mostra
provengono quasi esclusivamente da collezioni private e, in particolare,
dal paziente lavoro di ricerca di tre collezionisti: Carmelo Calci, Leandro
Mais e Michael George Jacob.
Già questo è un fatto decisivo perché, come ho potuto anche personalmente
constatare nel fecondo rapporto stabilito proprio con Carmelo Calci,
il collezionista non è solo innamorato della fotografia che è riuscito a conquistarsi.
Per lui quella fotografia rappresenta un essere vivente. Egli la studia, ne
cerca i nessi con altre fonti, ne conosce e ne svela tutti i particolari, ne scopre
l’autore, la data e il luogo dello «scatto», le riproduzioni e le varianti esistenti,
le vere e proprie falsificazioni. Il carattere non istituzionale del suo impegno,
poi, lo porta più facilmente a nuove scoperte, a fotografie che ne spiegano altre
difficilmente decifrabili. Non a caso, ad esempio, Calci e Mais erano già riusciti
a fare chiarezza su una foto di Garibaldi a cavallo, da sempre considerata
scattata a Palermo nel 1860. L’attenta analisi dell’immagine e pazienti sopralluoghi
hanno consentito ai due infaticabili indagatori di accertare intanto che
il cavallo, sia pure bianco, non è la mitica Marsala regalata all’Eroe dei due
Mondi che se ne servì durante la sua campagna di conquista del regno borbonico.
Soprattutto, però, essi sono riusciti ad individuare il luogo (Cremona nel
cortile di palazzo Trecchi) e la data dello scatto (8 aprile 1862).
Certo non è facile che dei collezionisti arrivino a possedere un numero
tale di fotografie da reggere l’articolazione di una mostra con un soggetto così
importante com’è in questo caso. Ma quando vi riescono il risultato è sicuramente
di rilievo e non è certamente limitato da qualche possibile «vuoto» che
pure si potrebbe avvertire, perché esso, aldilà di rare e non significative eccezioni,
è dovuto alla scelta di attenersi strettamente al materiale proveniente da
raccolte private.
Un altro punto di forza della mostra e di questo catalogo è rappresentato
dal fatto che le fotografie di Giuseppe Garibaldi sono poste all’interno di un
percorso iconografico che evidenzia in modo ampio il contesto in cui il nostro
eroe si mosse, a partire dalla famiglia di provenienza e includendo gli eredi
con le loro mogli e i mariti, i loro figli. Ma non solo, risulta infatti sicuramente
efficace la scelta di mostrarci anche gli «amici» e i «nemici» politici e militari
del Nizzardo, i suoi più stretti collaboratori, i suoi volontari, i luoghi delle
battaglie, Caprera, insomma il suo mondo.
Una sequenza di foto che, oltre alle gerarchie dello Stato della Chiesa, mette
a confronto i ritratti delle famiglie reali e imperiali contro le quali Garibaldi
si trovò a combattere, e quelle che lo sostennero direttamente, come i Savoia,
ma anche i sovrani e gli uomini di governo di britannici, così come quelli
degli Stati Uniti d’America.
Come si può vedere già questa rappresentazione è indicativa di come il
Nizzardo si fosse trovato ad operare in un contesto che lo mise più o meno
indirettamente in contatto con le realtà più significative della scena mondiale.
E in questo contesto, nel quale si andava dipanando il percorso di un processo
di modernizzazione economica sociale e politica, l’accostamento dei «nemici»
e degli «amici» di Garibaldi esemplifica chiaramente come egli si sia posto
sempre in modo netto dalla parte più avanzata. Non a caso nella famosa scelta
di non prendere parte alla guerra di secessione in corso negli Stati Uniti ebbe
un ruolo decisivo il fatto che la posizione di Lincoln sullo schiavismo non
fosse, a suo avviso, chiaramente abolizionista.
La posizione di Giuseppe Garibaldi su questo punto era, infatti, molto
netta. Gli era già accaduto proprio nel 1850, quando risiedeva a New York
ospite di Meucci (le cui foto sono giustamente presenti in questa mostra) di
declinare l’invito a prendere parte ai primi movimenti anticoloniali a Cuba.
Se nell’occasione la posizione del nostro Eroe era dettata anche da altre importanti
motivazioni, come l’attesa per l’evoluzione della situazione nella penisola
italiana e la necessità di provvedere al mantenimento suo e della famiglia,
senza dubbio aveva influito anche il fatto che gli indipendentisti cubani non
avevano allora ancora posto tra i loro obiettivi quello di abolire la schiavitù,
largamente presente nell’isola caraibica.
Allo stesso modo, quando l’emissario del presidente statunitense era giunto
appositamente a Caprera nel settembre del 1861 per coinvolgere Garibaldi nel
conflitto secessionista, il nostro aveva posto due condizioni: il comando generale
dell’esercito del Nord e una dichiarazione netta sull’abolizione della schiavitù4.
Se sulla prima richiesta il rappresentante nordamericano poteva offrire
una soluzione tutto sommato accettabile con la proposta di un comando di
divisione dotato di ampia autonomia, sul secondo punto la condizione posta
dal generale italiano rimaneva inevasa determinando il suo definitivo rifiuto.
Certo, tale posizione derivava anche da altre non secondarie considerazioni,
come le problematiche ancora aperte all’indomani dell’Unità italiana, in particolare
la questione del Veneto e quella di Roma. Tuttavia va rilevato che comunque
Garibaldi aveva scelto consapevolmente di rinunciare ad un incarico
di grandissimo prestigio, foriero di una crescita enorme della sua fama, pur di
mantenere fermo il punto ideale di netta contrarietà alla condizione schiavile.
Ed è per questo che la fotografia di Lincoln insieme ai suoi generali, propostaci
nella mostra, sembra ricordarci, emblematicamente, la possibilità che anche il
nostro illustre generale avesse potuto figurare nello storico gruppo.
Il percorso della mostra, dunque, ci offre uno sguardo d’insieme che consente
di accostare immagini in nessun altro modo visibili come, ad esempio,
le foto dei gruppi dei mille quasi tutte inedite, il tutto accompagnato da descrizioni che spesso rappresentano lo spunto per ulteriori approfondimenti.
Giovano, a questo riguardo, anche le medaglie esposte, tutte quelle coniate
nel corso dell’epopea risorgimentale, che consentono di leggere in modo più
preciso le stesse fotografie, perché ci permettono di ricostruire con assoluta
certezza a quante e quali campagne militari parteciparono gli uomini ivi effigiati.
Altro aspetto di sicuro interesse presente in questa ricca esposizione è la
presenza dei materiali e degli strumenti utilizzati dai fotografi ottocenteschi
che con la loro opera contribuirono a realizzare una sterminata massa di fonti
iconografiche di sicuro valore per la ricerca, ma anche per gli appassionati di
un periodo di rilevante significato per la nostra storia nazionale. La conoscenza
di questi materiali, infatti, contribuisce anch’essa a rendere più leggibili e a
dare un senso più pieno alle stesse fotografie.
Se la mostra ci presenta in modo nuovo la «realtà» dell’Eroe dei due Mondi,
essa ci indica anche le piste da battere per studiare il dopo Garibaldi. Un
aspetto, questo, che si giova di una sorta di mostra nella mostra, realizzata a
cura di Annita Garibaldi, con i pannelli dedicati alla famiglia del Nizzardo.
La pronipote di Giuseppe ha svolto, in questo senso, un lavoro di grande interesse
che ha già fornito un primo supporto alla ripresa dello studio sugli eredi
della famiglia Garibaldi5. Per riprendere rapidamente il discorso che abbiamo
già accennato all’inizio di questa breve nota, infatti, l’indagine sull’atteggiamento
degli esponenti della famiglia dell’Eroe dei due Mondi in alcuni dei
momenti cruciali della nostra storia nazionale appare decisiva per comprendere
come sia stato possibile che la «camicia rossa» abbia rappresentato una sorta
di bandiera per fronti così contrapposti come il fascismo e l’antifascismo o,
nell’Italia repubblicana, tra il moderatismo e i partiti di sinistra.
Certamente già alcuni contributi in questa direzione forniscono qualche
indicazione. Ma appare urgente una ripresa sistematica di questi studi proprio
ripartendo da un’analisi accurata sui temi più controversi dello stesso
pensiero di Garibaldi per una più puntuale interpretazione delle motivazioni
di alcuni approdi cui quel pensiero è giunto ad opera dei protagonisti del
movimento garibaldino e dei suoi eredi. In ciò l’impegno di Annita Garibaldi
nel ricostruire l’albero genealogico e le storie di una famiglia ormai sterminata
e sparsa per tutto il Mondo, rappresenta un contributo decisivo per nuovi
approfondimenti anche grazie ai materiali, compresi quelli più emblematici,
messi in tal modo a disposizione degli studiosi.
Si può, quindi, concludere che la mostra “Garibaldi e i suoi tempi. Immagini
dei protagonisti” qui presentata in catalogo ben si affianchi ad alcune
delle migliori esposizioni che l’hanno preceduta nel fatidico 2007, anno del
bicentenario della nascita dell’Eroe dei due Mondi.
Domenico Scacchi